14-05-2021 16:46 - Giuseppe Goisis Le religioni in generale hanno solo qualcosa in comune con l'utopia, che rappresenta una tradizione autonoma, slegata da ogni rivelazione particolare e frutto riconosciuto di un'elaborazione prettamente umana. Religioni e utopia hanno in comune, come lei nota, la tensione verso il futuro e narrazioni che riguardano il "mondo nuovo" (il tema dell'escatologia). In particolare, per quanto riguarda le religioni che affondano le radici nella Bibbia (Ebraismo e Cristianesimo), l'utopia si presenta come una tendenza ad immanentizzare le considerazioni che propongono queste religioni sulla fine del mondo e sull'avvento del mondo nuovo (nell'utopia, si mantiene la tensione messianica, ma tutto comunque avviene nel mondo e dunque il Regno a cui si aspira è totalmente intramondano, cioè dentro il mondo). In questo senso, l'utopia può essere considerata un'eresia cristiana, ricorrente nei secoli, anche se il suo coniatore, Tommaso Moro, è considerato da cattolici e anglicani come un santo. Per dire in modo più preciso, l'utopia si presenta come una specie di religione secolare, di religione "seconda", o come una specie di surrogato o sostituzione (Ersatz) della religione storico-istituzionale.
Infine, per questo nodo interpretativo segnalo due utili letture: E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo, Rusconi, Milano 1990 e T. Molnar, Utopia, eresia perenne, Borla, Milano 1968.